venerdì 12 marzo 2010

SHUTTER ISLAND


Un battello faticosamente emerge dai fumi della nebbia arrancando su acque dalle tonalità metalliche per portare i suoi due passeggeri al cospetto di un isola che sembra tratta quasi da un libro di Stevenson:un solo piccolo molo per attraccare e per il resto scogliere a picco sul mare.Nell'isola che si presenta già minacciosa c'è solo un manicomio insolitamente militarizzato.E i due,che sono agenti federali, entrano in questa struttura ignari di quello che li attende.Benvenuti nell'isola dell'incubo.I due cercano una paziente molto pericolosa misteriosamente scomparsa.Ma a volte le apparenze ingannano.Shutter Island è la pietra angolare di Scorsese per rileggere generi tradizionalmente meno nobili come il noir,come il thriller o come l'horror.Contemporaneamente il manicomio si dimostra fine intarsio psicopatologico a scatole cinesi infarcito di citazioni nobili del cinema che fu.Da Fuller a Siodmak passando obbligatoriamente per molti film di Hitchcock il film si srotola davanti ai nostri occhi come un tappeto reso scarlatto dal rosso rutilante del sangue.Gli incubi si incuneano nella realtà frastagliandola,deformandola,alla stessa stregua di un nastro magnetico che all'impazzata va avanti e indietro nella riproduzione di quello che vi è registrato.

Scorsese si iscrive ufficialmente al cinema di genere ma non ne sfrutta i clichet,non insiste sulle ambiguità che una storia del genere può presentare ,ci consegna su un piatto d'argento la soluzone del film fin dal primo tempo affidandosi a un protagonista in perenne stato confusionale.Perchè sarà anche un film fatto pensando al botteghino ma allo stesso tempo si dimostra minaccioso e stratificato.Shutter Island è un incubo gotico incline all'arzigogolo ma che si eleva diverse spanne sopra il mucchio.E'vero che a momenti di altissima suggestione si succedono momenti francamente più deboli che coincidono con le parti più verbose del film,quelle in cui personaggi e autore si affannano a spiegare tutto il pregresso(magari anche con qualche caduta di tono come sorbirci per qualche minuto il DiCaprio freeclimber o come la storia degli anagrammi).Però anche questi momenti che mostrano la parte meno nobile del film per quanto mi riguarda sono da rileggere in positivo sempre nell'ambito del rifiuto da parte del regista di venire inserito,quasi incatenato nello stilema del genere.L'epilogo del film oltre a costringere a rivedere mentalmente quanto visto nelle due ore e passa precedenti ci fornisce la prospettiva definitiva per la rilettura del film:la ricerca dell'espiazione della colpa attraverso la sofferenza del castigo.Scorsese dopo essere andato sul velluto col già collaudato copione a prova di bomba di The departed stavolta rischia in proprio spostando oltre l'asticella della propria ambizione autoriale.Ne vien fuori un film che oltre all'ambizione mostra l'indubbia capacità di fare cinema del regista con sequenze che fanno quasi salire il cuore in gola(e non per squallidi trucchetti da horror di quarto ordine) per la maestria con cui sono girate,come tutto l'inizio o l'inseguimento nelle segrete del padiglione C.Allo stesso tempo però la pellicola si dimostra diseguale,quasi costretta ad essere resa più comprensibile dal grosso pubblico.E' forse questo il difetto più grosso del film: in certi momenti sembra più pensato per essere immediatamente recepito dal pubblico.In molti altri frangenti emerge la complessità dell'opera, si respira aria di grande cinema.Una piccola notazione:le prime sequenze con DiCaprio intento a vomitare in bagno e poi a specchiarsi mi hanno subito riportato alla mente un grande film passato inspiegabilmente sotto silenzio del nostro Peppuccio Tornatore:si trattava di Una pura formalità ,notturno gioco al massacro tra Depardieu e Polanski....

VOTO 7/10