domenica 21 marzo 2010
A SINGLE MAN
In genere maturo le mie impressioni su un film in tempo relativamente breve.Con il film di Tom Ford ho avuto invece bisogno di un pò di tempo in più per riordinare le idee.Perchè per dirla tutta sono rimasto interdetto dalla visione di questo A Single Man,melodramma raffreddato e allo stesso tempo lancinante diretto da un geniale stilista qui alla sua prima regia.Il film è dominato dal senso del distacco e dal significato che esso assume per il protagonista,un professore universitario poco più che cinquantenne che scopre improvvisamente di essere rimasto solo.Il suo compagno è tragicamente perito in un incidente automobilistico.George è ora un single man,ha una vita da riorganizzare ma non sa neanche che significato potrà avere per lui.Gli oggetti della sua quotidianità acquistano una luce nuova,sono cagione di interrogativi e di dolore allo stesso tempo perchè è inevitabile riandare con la mente ai trascorsi col proprio compagno.Il film infatti spesso indugia in flashback in cui viene illustrata con lievi pennellate la vita dei due innamorati. George vive una nuova giornata partendo dal silenzio e dalla sua perfetta solitudine,parte dalla dolorosa esclusione dal funerale del suo compagno perchè il funerale " è riservato solo alla famiglia" passa per conoscenze estemporanee(il gigolò spagnolo)e una lezione all'università tenuta in una sorta di stato di trance,fino all'incontro con un giovane allievo.In mezzo a questo la cena con la vecchia amica che ha avuto sempre un debole per lui,sul filo di un malinconico rimpianto da parte di lei(rimpianto perchè lui è gay) e una sorta di gentile accondiscenza da parte di lui.George continua a elaborare il suo lutto e Ford è bravo a tratteggiare questo senso di straniamento e di distacco senza troppi orpelli,senza quelle leziosità che avrebbero appesantito il melodramma.Il film di Tom Ford è un melodramma virato al maschile che indugia anche sulla bellezza del corpo maschile senza per questo eccedere in voyeurismo o particolari da scandalo,un film che unisce i due amanti in una sorta di membrana amniotica,nel silenzio della fase liquida.E'un film molto silenzioso,impreziosito da bellissime musiche e da un aderenza di Colin Firth al personaggio pressochè totale.La vita di George si dipana nel minimalismo della routine quotidiana,quel meccanico succedersi di atti che scandiscono il ritmo di un esistenza.
La cinepresa si sofferma flemmatica su questi gesti che in questa giornata devono essere visti sotto una luce diversa.Da qualunque parte lo si guardi non è facile giudicare un film come questo sempre in bilico tra l'estetizzazione del dolore e il male lancinante che può provocare un distacco così brutale.Accanto a questa "violenza" emotiva c'è un senso di fatalità che incombe costantemente e che dona al tutto un aria plumbea.Un colore affine al grigiore delle acque in cui nuotano i due amanti in quella che può essere considerata la sequenza simbolo del film....
VOTO 7,5/10
venerdì 12 marzo 2010
SHUTTER ISLAND
Un battello faticosamente emerge dai fumi della nebbia arrancando su acque dalle tonalità metalliche per portare i suoi due passeggeri al cospetto di un isola che sembra tratta quasi da un libro di Stevenson:un solo piccolo molo per attraccare e per il resto scogliere a picco sul mare.Nell'isola che si presenta già minacciosa c'è solo un manicomio insolitamente militarizzato.E i due,che sono agenti federali, entrano in questa struttura ignari di quello che li attende.Benvenuti nell'isola dell'incubo.I due cercano una paziente molto pericolosa misteriosamente scomparsa.Ma a volte le apparenze ingannano.Shutter Island è la pietra angolare di Scorsese per rileggere generi tradizionalmente meno nobili come il noir,come il thriller o come l'horror.Contemporaneamente il manicomio si dimostra fine intarsio psicopatologico a scatole cinesi infarcito di citazioni nobili del cinema che fu.Da Fuller a Siodmak passando obbligatoriamente per molti film di Hitchcock il film si srotola davanti ai nostri occhi come un tappeto reso scarlatto dal rosso rutilante del sangue.Gli incubi si incuneano nella realtà frastagliandola,deformandola,alla stessa stregua di un nastro magnetico che all'impazzata va avanti e indietro nella riproduzione di quello che vi è registrato.
Scorsese si iscrive ufficialmente al cinema di genere ma non ne sfrutta i clichet,non insiste sulle ambiguità che una storia del genere può presentare ,ci consegna su un piatto d'argento la soluzone del film fin dal primo tempo affidandosi a un protagonista in perenne stato confusionale.Perchè sarà anche un film fatto pensando al botteghino ma allo stesso tempo si dimostra minaccioso e stratificato.Shutter Island è un incubo gotico incline all'arzigogolo ma che si eleva diverse spanne sopra il mucchio.E'vero che a momenti di altissima suggestione si succedono momenti francamente più deboli che coincidono con le parti più verbose del film,quelle in cui personaggi e autore si affannano a spiegare tutto il pregresso(magari anche con qualche caduta di tono come sorbirci per qualche minuto il DiCaprio freeclimber o come la storia degli anagrammi).Però anche questi momenti che mostrano la parte meno nobile del film per quanto mi riguarda sono da rileggere in positivo sempre nell'ambito del rifiuto da parte del regista di venire inserito,quasi incatenato nello stilema del genere.L'epilogo del film oltre a costringere a rivedere mentalmente quanto visto nelle due ore e passa precedenti ci fornisce la prospettiva definitiva per la rilettura del film:la ricerca dell'espiazione della colpa attraverso la sofferenza del castigo.Scorsese dopo essere andato sul velluto col già collaudato copione a prova di bomba di The departed stavolta rischia in proprio spostando oltre l'asticella della propria ambizione autoriale.Ne vien fuori un film che oltre all'ambizione mostra l'indubbia capacità di fare cinema del regista con sequenze che fanno quasi salire il cuore in gola(e non per squallidi trucchetti da horror di quarto ordine) per la maestria con cui sono girate,come tutto l'inizio o l'inseguimento nelle segrete del padiglione C.Allo stesso tempo però la pellicola si dimostra diseguale,quasi costretta ad essere resa più comprensibile dal grosso pubblico.E' forse questo il difetto più grosso del film: in certi momenti sembra più pensato per essere immediatamente recepito dal pubblico.In molti altri frangenti emerge la complessità dell'opera, si respira aria di grande cinema.Una piccola notazione:le prime sequenze con DiCaprio intento a vomitare in bagno e poi a specchiarsi mi hanno subito riportato alla mente un grande film passato inspiegabilmente sotto silenzio del nostro Peppuccio Tornatore:si trattava di Una pura formalità ,notturno gioco al massacro tra Depardieu e Polanski....
VOTO 7/10
mercoledì 3 marzo 2010
INVICTUS
La ricordo bene quella partita che ormai ha 15 anni.Era il primo mondiale di rugby che vedevo,erano le prime partite che vedevo in un tempo in cui in Italia era uno sport sconosciuto(all'epoca lo trasmetteva in esclusiva la pay tv Tele + ora defunta).Non fu una partita bellissima,molto bloccata,troppa paura di sbagliare.Vidi anche la passerella che fece Mandela con la maglia degli Springbocks e mi sembrò semplicemente un omaggio,magari folkloristico, alla squadra della propria nazione.Ora dopo tutti questi anni grazie ad Invictus sono in grado di rileggere il significato di tutti quei gesti,di quella maglia indossata dal valore simbolico così elevato,dell'importanza che ha avuto quel mondiale di rugby nella storia del Sudafrica,nazione fino ad allora confinata in un limbo(anche sportivo,gli Springboks non potevano partecipare alle competizioni internazionali ma potevano fare solo lussuosi test-matches,delle esibizioni con le altre nazionali )dalla piaga ancora aperta dell'apartheid.Invictus non è solo un film sportivo.E'un film che usa lo sport per raccontare un frammento importante della storia sudafricana.Racconta soprattutto la temerarietà di un uomo che intuisce per primo che se non ci sarà riconciliazione il Sudafrica non potrà mai uscire dal baratro scavato dalla segregazione razziale.E la squadra di rugby(odiata da tutta la popolazione nera)è un simbolo attorno al quale riunirsi tutti,bianchi e neri a dare finalmente un senso alla bandiera arcobaleno che rappresenta la nazione sudafricana.Invictus è un ritratto del Mandela dietro le quinte,impressiona la sua visione del mondo così distaccata,la sua filosofia sempre improntata ad andare oltre( e in questo senso è esemplificativo il dialogo con Pienaar il capitano della squadra invitato a Palazzo a prendere un tè),il suo coraggio nel prendere decisioni potenzialmente impopolari che poi miracolosamente girano a suo favore.E'un inno ad un uomo straordinario a cui va tutta l'ammirazione di Eastwood.Il quale dal canto suo,da narratore di razza riesce ad asciugare tutta la retorica del film sportivo in favore del suo cinema di stampo classico,con sequenze ad ampio respiro,movimenti di macchina essenziali,un montaggio che non si fa mai sovrastare dal calore dell'attimo neanche nelle sequenze più concitate delle partite di rugby.Eastwood riesce a narrare la storia di un uomo che con la sua lucida visione politica(in fondo non si capisce dove finisca il calcolo politico e cominci il tifo per la squadra anche se c'è l'impressione che la passione per gli Springboks cresca con il passare delle partite)ha scongiurato il pericolo di una guerra civile e lo fa senza manicheismi di sorta,andando a cogliere anche il più piccolo particolare.Due sono i momenti in cui l'emozione tracima:la visita alla prigione di Mandela con il capitano degli Springboks Francois Pienaar che non riesce a capacitarsi di come si riesca a vivere in un ambiente talmente piccolo da poter essere misurato con l'ampiezza delle braccia e la prima visita della nazionale agli slums popolati da neri cercando di portare un sorriso in quei posti dimenticati da Dio e dagli altri uomini.Dopo l'iniziale diffidenza reciproca il cuore si apre al sorriso.Esemplare il lavoro di Freeman e di Damon(con qualche muscolo in più del solito):lavorano per sottrazione regalandoci due ottime interpretazioni.Invictus a mio modesto parere non è il capolavoro di cui si parla ma è pur sempre un bel film realizzato da quello che forse possiamo considerare l'ultimo dei grandi autori classici.Un film che parte dallo sport per parlare di Storia.Quella con la S maiuscola....
VOTO 7,5
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